Andiamo al regolamento?

Resoconto parzialissimo del seminario organizzato da Isp-Fp – Iuav Venezia

Venezia, 4 novembre 2002

 

di Mauro Baioni

I temi del seminario

Il regolamento edilizio: un vecchio arnese, datato e privo di interesse, oppure uno strumento da riscoprire alla luce delle più recenti innovazioni dello strumentario urbanistico? Questo, in grande sintesi, il tema del seminario organizzato presso lo Iuav il 4 novembre 2002, nel quale sono stati chiamati a relazionare tre funzionari di Comuni che hanno da poco rinnovato il regolamento edilizio (Milano, Firenze, e Faenza).

Le tre comunicazioni avrebbero dovuto illustrare i rapporti tra il regolamento edilizio e il piano regolatore, evidenziando se e in quale modo il primo dei due strumenti possa essere preferibile per garantire maggiore qualità agli interventi di trasformazione edilizia e di sistemazione degli spazi pubblici. I relatori hanno risposto solo parzialmente a tale quesito e hanno concentrato la loro attenzione sui rapporti fra regolamento e piano e, più in generale, sul ruolo assegnato alle norme nel contesto più generale dell’azione di governo delle trasformazioni.

Nel caso di Milano è stata data grande evidenza alla riorganizzazione degli uffici comunali (in termini di personale, procedure, strumenti), compiuta dopo il 1997 e volta a ridurre i tempi per il rilascio dei provvedimenti abilitativi. Tale riforma si è coniugata felicemente con il ricorso sempre più esteso alla dichiarazione di inizio attività in luogo della concessione: il numero di provvedimenti esaminati si è pressoché decuplicato e il tempo medio di rilascio si è ridotto da oltre un anno a poco più di tre mesi. Nuove procedure regolano oggi a Milano l’istruttoria tecnica dei progetti: il contraddittorio con i professionisti e nuovi strumenti informatici consentono la completa trasparenza del procedimento e il costante controllo, da parte degli utenti, dello “stato di avanzamento” della pratica. Velocità e capacità di rispondere (ovviamente in modo positivo) alle sollecitazioni degli operatori sono dunque gli obbiettivi posti. In questo scenario il regolamento edilizio, aggiornato nello stesso periodo, non ha introdotto particolari novità di merito, mentre il vecchio piano regolatore approvato nel 1976 è stato progressivamente superato, dapprima da una ridda di varianti puntuali e oggi dai nuovi strumenti messi in campo dalla legislazione nazionale e regionale, la cui approvazione prescinde dalle previsioni del Prg, secondo quanto stabilito nel noto Documento di inquadramento.

A Firenze il regolamento edilizio ha svolto una duplice funzione:

-          di supplenza del piano regolatore[1], la cui normativa è apparsa fin da subito incompleta, in particolare sul versante del controllo delle destinazioni d’uso;

-          di raccolta della normativa igienico-sanitaria ed edilizia, riassumendo in una sorta di testo unico, formato da un corpo principale e da ben 7 allegati, tutti i regolamenti vigenti (relativi alle insegne, al verde, ai passi carrai, ai materiali e ai colori da impiegare nel recupero del patrimonio edilizio storico e così via).

Nel caso di Faenza, infine, l’accento è stato posto sulla volontà espressa dall’amministrazione comunale di superare ogni possibile rigidità della normativa, facendo ricorso ad una iper-semplificazione della zonizzazione, ad accordi con i privati, a variazioni semi-automatiche delle disposizioni di piano, all’introduzione di “norme presuntive” o di norme “premiali”[2]. Massima flessibilità e operatività sono i requisiti richiesti al piano; il regolamento edilizio, nel caso faentino, non sembra dunque rivestire particolare significato, alla luce del mutamento del carattere del Prg, da strumento di regolazione a documento di indirizzo.

Alcuni spunti di riflessione

La comunicazione conclusiva di Silvano Bassetti, assessore del comune di Bolzano, traccia un bilancio, critico, del seminario.

Prima di lui Stefano Boato aveva posto l’accento sullo spostamento di attenzione dal merito dei problemi e delle risposte fornite dai piani, alle questioni di metodo, di “ragioneria” urbanistica (dalla perequazione alla compensazione) o – ancora – all’enfasi posta sulla velocità con la quale le sollecitazioni degli operatori vengono assentite, introducendo al più qualche timido correttivo. Davvero la pianificazione è solo questo, si domanda Boato e noi con lui? E’ davvero solo l’esito della sommatoria di interventi promossi dai privati, dai quali l’amministrazione pubblica cerca di trarre la maggiore utilità possibile -  in una contrattazione che si vorrebbe la più libera possibile? E davvero il problema dei problemi è la mancanza di libertà connaturata alla rigidità delle norme e delle previsioni dei piani[3]? Questioni non banali, che da tempo segnano un discrimine tra i “modernisti” (oggi in auge) e i “nostalgici” (caduti in disgrazia), se mi si passano questi due termini un po’ schematici.

Lasciando sullo sfondo tali questioni, ma dichiarando la personale propensione verso il secondo dei due schieramenti, Bassetti si sofferma su due spunti di riflessione offerti dal seminario:

- i compiti specifici del regolamento edilizio e del piano regolatore;

- l’incapacità di affrontare, nei regolamenti, il tema della qualità.

Non è più chiara come un tempo, secondo Bassetti, la distinzione fra le tre sfere normative dell’urbanistica: legislativa, pianificatoria, regolamentare. E non è difficile individuare un responsabile: l’assenza di una legge nazionale. In assenza di una chiara definizione dei principi fondamentali, tra i quali certamente va certamente inserito il regime dei suoli, la creatività di amministratori e tecnici si è esercitata, con esiti per lo più pasticciati, nell’attribuire ai piani e ai regolamenti ruoli di supplenza. Ma surrogare il piano attraverso il regolamento edilizio è inutile e – probabilmente – dannoso, così come è sbagliata la surroga delle leggi da parte dei piani urbanistici (o dei regolamenti edilizi, poiché anche il regolamento edilizio può essere perequativo). Dalla perequazione alle destinazioni d’uso, dalle “norme flessibili” ai regolamenti ipertrofici: la modificazione genetica dei piani sta facendo smarrire una distinzione tanto semplice, quanto indispensabile: spetta alla pianificazione il compito di definire “che cosa”, “quanto” e “dove” trasformare il territorio (necessariamente avendo un quadro legilslativo di riferimento meno farraginoso di quello attuale), mentre ai regolamenti spetta il compito di definire il “come”[4].

Se il compito specifico dei regolamenti edilizi è quello di stabilire in che modo effettuare le trasformazioni, il tema della qualità non può essere relegato ai margini, né può essere affidato a norme di tipo tradizionale. Opinione corrente, anche presso gli addetti ai lavori, è che non sia possibile affrontare il tema della qualità attraverso i normali strumenti regolamentari. Certamente non lo è facendo esclusivo ricorso a norme di tipo statico, talvolta integrate da disegni e da elencazioni di casistiche che preludono ad una mera verifica di conformità. Un utile confronto – sottolinea Bassetti con grande forza – andrebbe invece effettuato con il mondo della produzione e dell’organizzazione aziendale. Sia i prodotti industriali, sia i processi produttivi, decisionali, organizzativi sono infatti sottoposti a continue e severe verifiche di qualità, formalizzate e standardizzate attraverso una serie di procedure codificate.

Una sollecitazione interessante, soprattutto perché conferma una volta di più la volontà di innovare la pianificazione da parte di coloro che ancora oggi si intestardiscono nel riconoscerne i meriti e l’utilità e, proprio per questo, sentono più degli altri la necessità di rimuoverne i difetti.



[1] Approvato nel 1998, a valle di un faticosissimo percorso di revisione del Prg del 1962 durato oltre 10 anni.

[2] Le “norme presuntive” (così definite dal relatore) sono le cosiddette norme di indirizzo che, nel piano di Faenza, hanno un ruolo preminente rispetto alle prescrizioni. Le norme “premiali” consistono invece in possibilità edificatorie aggiuntive che il piano concede come premio dei comportamenti ritenuti virtuosi: ad esempio (chissà mai perché) il ricorso alla bio-architettura.

[3] Il relatore fiorentino ha fatto notare come – qualora nel passato fossero state in vigore norme regolamentari simili a quelle moderne, la realizzazione dell’architettura più significativa (dal Duomo di Firenze alla Torre di Pisa, per indtenderci) sarebbe stata impossibili.

[4] Aggiungo di mio, alla esposizione di Bassetti, un'unica riflessione: allo strumentario della pianificazione non possono che affiancarsi altrettanto robuste politiche, intese come un insieme coordinato di iniziative – per lo più immateriali – che accompagnano e sostengono, in modo profondamente interattivo, la formazione, l’attuazione e la revisione dei piani. Anche in questo caso si tende a fare confusione. I piani regolatori non possono e non devono supplire (confidando nella forza del disegno e delle norme) alla debolezza delle politiche delle amministrazioni, né – al contrario - possono coincidere sic et simpliciter con dichiarazioni programmatiche o documenti di inquadramento.