Tema 1:Ombre e luci per il paesaggio nel nuovo codice

a cura di Francesca Calace

 

A soli quattro anni di distanza dal Testo Unico sui Beni Culturali giunge il nuovo Codice, cosiddetto Urbani, nato su legge delega al governo; molti sono i temi di discussione già roventi, a partire dalle perplessità e proteste sul travalicamento delle competenze delegate dal parlamento (avrebbe dovuto essere un riordino, ma sembra essere molto di più).

E’ vero che il codice si inserisce in una fase di smantellamento del patrimonio pubblico, di imperativo a “fare cassa” e molte sono le ombre che il codice getta sul nostro patrimonio culturale già assediato da abusivismo (con condono), privatizzazioni e altri provvedimenti controversi (es.: il collegato alla finanziaria, su modalità e tempi per la verifica dell’effettivo interesse culturale dei beni di proprietà pubblica, finalizzata alla alienabilità; la cosiddetta “sanatoria paesaggistica, a quanto pare scongiurata in extremis). Tuttavia, sulla terza parte del codice – quella relativa al paesaggio – forse occorre una maggiore attenzione prima di stigmatizzare l’intero provvedimento come copertura culturale della “rottamazione dei beni culturali del nostro Paese".

Sui temi cruciali per il paesaggio sollevati dal codice è necessario allora avviare una riflessione, che forse può essere più agevolmente percorsa tenendo conto di alcune tappe che significativamente hanno segnato la recente evoluzione del tema, tappe che ci possono consentire di ricollocare il Codice Urbani in un apparente ‘discorso interrotto’: la prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio (1999), la Convenzione Europea per il Paesaggio (2000), l’accordo Stato-Regioni sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio (2001). Da queste occorre ripartire, oltre che dalla riforma del titolo V della Costituzione, che ricolloca i principi della tutela (in capo allo Stato) e della valorizzazione (a poteri concorrenti Stato-Regioni).

Questi in particolare i temi su cui sembra necessario concentrare l’attenzione.

1.      Quale è il paesaggio disciplinato dal codice? È esteso a tutto il territorio? Dunque è accolta l’idea veicolata dalla Convenzione europea di un paesaggio definitivamente affrancato da valutazioni di unicità e separabilità rispetto a contesti territoriali di sfondo, che ha prodotto una tutela e una pianificazione a macchie di leopardo?

2.      Il mutato ruolo delle Soprintendenze nella gestione del vincolo, che passa dall’attuale possibilità di annullare le autorizzazioni regionali e comunali, al rilascio di un parere preventivo ma non vincolante. Il tema del ridimensionamento dei poteri delle Soprintendenze, da certa cultura considerate “le uniche in grado di valutare l’impatto di un’opera sul paesaggio”, fa emergere come nodo problematico il rapporto tra tutela e valorizzazione, nel codice tenute saldamente distinte nella parte relativa ai beni culturali e ricongiunte in quella relativa ai beni paesaggistici (in teoria a scapito della tutela, attraverso l’eliminazione dei vincoli Galasso, una volta in vigore i piani paesaggistici). Ma emerge ancor di più una differenza di convincimenti che va ben al di là del caso specifico e che investe alla radice il rapporto tra la filosofia del vincolo e quella del piano. Al centro di questo rapporto, ipotizzato come integrato ma che più spesso è conflittuale, il paesaggio appare come il principale campo di riflessione: il nuovo codice ci spinge a chiederci se e quanto la politica del vincolo sia stata efficace nell’area vasta o sia servita solo ad accentuare una difesa passiva e una gestione separata tra ciò che è considerato ‘paesaggio’ e ciò che non è ritenuto tale.

3.      Il nuovo ruolo del piano paesaggistico nel complesso delle pianificazioni (di tutte le pianificazioni, comprese quelle delle aree protette), che lo rende “matrice unica” delle compatibilità paesaggistiche cui debbono riferirsi tutte le tipologie della pianificazione territoriale e urbanistica, generale e settoriale: il piano paesaggistico rappresenterebbe così il luogo concettuale entro il quale si esplica il potere concorrente Stato-Regioni e quindi si garantisce teoricamente la sintesi tra tutela e valorizzazione. Occorrere valutare allora se i contenuti e le procedure previsti dal codice per il piano paesaggistico siano coerenti con questo nuovo ruolo e quali i termini di una inevitabile revisione di relazioni, ruoli e contenuti degli strumenti territoriali e paesistici finora elaborati.

Dunque tra le ombre citate in apertura, sul paesaggio sembrano farsi spazio alcune luci o, più apertamente, prospettive su cui interrogarsi: non si è sempre tentato il superamento della gestione passiva del bene-paesaggio, apposta attraverso il vincolo, per cercare di inserirlo entro un circuito di valorizzazione, che solo una pianificazione può garantire? non si è sempre affermato che una politica attiva, ovvero un progetto di paesaggio, sia l’unica garanzia per rendere davvero duraturo il bene-paesaggio? la nuova codificazione ed enfatizzazione del ruolo della pianificazione paesaggistica, se collocata in un ambiente decisionale collaborativo, non può essere una risposta alla esplicita istanza di una pianificazione integrata alla tutela? e, d’altra parte, quali rischi corre il nostro paesaggio, percorrendo questa nuova strada?