Il Castello Normanno-Svevo di Gioia del Colle,
il meglio conservato dei castelli di Puglia, si eleva al
centro dell'insellatura, che divide le Murge orientali da quelle
occidentali, a difesa e controllo del territorio e delle direttrici
di comunicazione tra l'Adriatico (Bari) e lo Jonio (Taranto), e tra
i due rilievi murgiosi sopraddetti. Tutta la costruzione presenta
un sincretismo architettonico ed artistico realizzatosi in tre
tempi diversi: prenormanno, normanno e svevo, con una sostanziale
prevalenza dell'opera federiciana. è il risultato di almeno
tre interventi costruttivi: uno risalente al periodo bizantino, un
altro a quello normanno e l'ultimo a quello svevo.
Pianta
cronologica.
In nero il nucleo
pre-normanno; in grigio scuro il nucleo normanno; grigio chiaro il
nucleo svevo.
Pianta del piano
terreno
Pianta del primo
piano
Il primo strato, riferibile al periodo
prenormanno o bizantino, è costituito da rozze muraglie
formanti un recinto fortificato o castello-rifugio per gli abitanti
del vicino borgo di Joha, col quale si istituì sin d'allora,
nel contesto geografico e sociale, uno stato di simbiosi mai
smesso.
Il normanno Riccardo Siniscalco, figlio di
Drogone della famiglia degli Altavilla, ristrutturò ed
ampliò agli inizi del XII secolo la vecchia fabbrica
bizantina, in funzione di residenza della nobiltà feudale e di
presidio territoriale. Fu allargato il cortile, recingendolo con
solido muro, a cui fu saldato un mastio a pianta quadrata, oggi
Torre De' Rossi, sul lato Sud-Ovest, che si eleva sul territorio
infeudato ad emblema del potere signorile normanno.
L'opera federiciana si presenta ecletticamente
ricca di apporti diversi, legata immancabilmente a quel fenomeno
complesso ed articolato, nel tempo e nei luoghi, quale fu
l'architettura federiciana. Al ritorno di Federico dalla Crociata
(1228-1229) si ha la sistemazione definitiva di tutto l'impianto
monumentale, così come lo vediamo oggi, delle cortine, delle
porte d'ingresso e del cortile. Quest'ultimo,abbastanza ampio nel
suo insieme, con l'intero organismo costruttivo gravitante intorno
ad esso, riflette lo schema tipo logico dei castelli federiciani a
pianta quadrilatera con torri angolari. Sale ed appartamenti
confluiscono e si affacciano sull'ampia corte, prendendo aria e
luce da monofore, bifore e trifore, che trasfigurano la ruvida
incastellatura normanna in ambienti di nobilitata umanità ad
un vivere piacevole e perfino sontuoso.
I ricordi e i momenti più significativi del
castello di Gioia del Colle si concentrano proprio intorno a
Federico II di Svevia, che qui fu più volte quando, nei suoi
continui andare dalla residenza imperiale di Foggia, da quella
militare di Lucera alla Sicilia, di qui transitava per la catena
fortificata di castelli di Puglia, Lucania, Calabria e
Sicilia.
Visse il castello ancora momenti di vita fastosa
nell'ambito del Principato di Taranto, durante il regno di
Manfredi, che la leggenda narra qui essere nato da Federico
imperatore e da Bianca Lancia, regina che il sovrano fece
rinchiudere nella torre detta dell’imperatrice, perché
rea di tradimento.
I Signori che si alternarono nel possesso del
castello dopo Manfredi - Principi di Taranto (1266-1463), Conti di
Conversano(1464- 1663), Principi di Acquaviva (1664- 1806) -vissero
una vita di anonima periferia. Decadute le ragioni di difesa,
mutate le condizioni politiche, in un rapido volgeredi anni, nel
nuovo clima storico, il castello perdette ogni importanza militare
e civile.
Nel '600 venne trasformato da costruzione
militare in dimora residenziale ed adattato alle nuove esigenze
abitative, con apertura di monofore, bifore e trifore sia nel
cortile interno che sulle cortine esterne, mantenendo, però,
intatto il suo impianto strutturale. Il castello, pertanto, non
subì modifiche sostanziali, diversamente da altri castelli di
Puglia, che adeguarono le loro strutture alle mutevoli esigenze
militari e per questo motivo costituisce la testimonianza più
genuina di fortilizio del periodo normanno-svevo.
Nel 1884 fu acquistato dal canonico Daniele Eramo
e, in seguito a numerose trasformazioni, fu adibito come sede di
abitazioni e di depositi.
Agli inizi del 900 fu acquistato dal Marchese di
Noci, Orazio De Luca Resta, che successivamente ne propose la
donazione al Comune di Gioia del Colle.
Il primo intervento di restauro del Pantaleo
(1907 -1909), con i suoi errori e i suoi pregi, va inquadrato nella
metodologia dei restauri dei suoi tempi. Liberando ambienti e
cortile dalle molteplici superfetazioni, quel restauro servì a
mettere in evidenza precedenti murazioni, parti architettoniche e
decorative di rilevante pregio artistico; d’altro canto,
però, Pantaleo operò delle ricostruzioni arbitrarie, che
interessarono particolarmente la scalinata, le trifore e il
trono.
Nel 1955 il Ministero della P. I. acquistò
il castello, che era molto malridotto, facendolo diventare
proprietà dello Stato e Monumento Nazionale.
Alla fine degli anni ‘60 l'ingegnere
Raffaele De Vita (1969- 1974) ha operato un restauro conservativo
con una ripulitura delle pareti esterne ed interne, contribuendo a
rendere vivibile il castello, sia come monumento da visitare che
come luogo fruibile per attività culturali e sociali a favore
della cittadinanza.
Accanto al contributo socio-culturale, il
castello offre oggi a quanti gli si avvicinano, una fruizione
attingibile dalla visione d'insieme delle sue strutture
architettoniche. All'aspetto vario e ricco di motivi artistici
all'interno del cortile e delle sale, ispirati a modelli arabi
(probabilmente frutto dell'esperienza crociata di Federico II ), si
aggiunge il vistoso apparato di bugne, che conferisce a tutta la
costruzione, nell sua veste esterna, una nota qualificante di
classica monumentalità. Siffatto procedimento architettonico,
di valore spiccatamente decorativo e di singolare effetto
coloristico, evidenziato dalle bianche cornici calcaree a bugnato,
lungo gli spigoli delle torri, assieme alle diverse ed originali
aperture esterne sulle facciate delle cortine e delle torri,
caratterizza il castello di Gioia e lo distingue da tutte le altre
fortificazioni di Puglia.
Delle quattro torri angolari originarie, di cui
si parla nell'Apprezzo della Terra di
Gioiadell'Architetto e Tabulario Honofrio Tangho del 1640 che
nell'Apprezzo della Terra di Gioia di Gennaro
Pinto del 1653, oggi possiamo ammirarne solo due: quella De'
Rossi e quella dell'Imperatrice.
IL CORTILE
Varcato il portone d'ingresso con il suo arco
ogivale si entra in un ampio cortile a pianta trapezoidale.
Colpisce la varietà di aperture che vi si affacciano: bifore e
trifore nonché la scalinata che porta al piano superiore, in
gran parte ricostruzioni del Pantaleo. La scalinata presenta dei
bassorilievi rappresentanti animali e scene di caccia. Al centro
del cortile c'è una capiente cisterna per la raccolta di
acqua. Il versante nord e quello est del cortile sono stati
ricostruiti.
Dal cortile si accede ai locali a piano terra, un
tempo adibiti a depositi, scuderie e dimora dei domestici ed oggi
utilizzati come sede del Museo Archeologico Nazionale, nel
quale sono esposti sia reperti di campagne di scavo dell'acropoli e
dell'abitato di Monte Sannace, uno dei più importanti centri
della Peucezia sito a 5 Km. da Gioia, che reperti rinvenuti nella
necropoli antica in contrada Santo Mola, sempre in territorio di
Gioia. Sempre al piano terra alcuni locali sono utilizzati sia per
il restauro di reperti rinvenuti non solo in loco, ma anche in
altri siti archeologici che come uffici della Soprintendenza.
IL FORNO E LA PRIGIONE
Da un ingresso posto sul lato sud del cortile si
accede alla sala del forno, così chiamata per la presenza di
un grande forno, sulla cui struttura è poggiata una delle
torri superstiti, quella detta dell'Imperatrice.
Sotto il forno c'è un piccolo sotterraneo,
utilizzato un tempo come prigione. Sulla parete est della prigione
sono scolpite due protuberanze a forma di seni. La leggenda vuole
siano i seni che ricordano il martirio di Bianca Lancia, che, a
causa della gelosia e dell'offesa arrecatale da Federico II, subito
dopo aver dato alla luce il figlio Manfredi, se li era recisi e
aveva ordinato ai suoi servitori di consegnarli al re marito,
insieme al neonato.
LA SALA DEL TRONO
Al termine della scalinata del cortile si accede
alla sala del trono, così chiamata perché in fondo alla
parete sud è appoggiato un trono in pietra, ricostruzione del
Pantaleo.
L'arco posto verso la parte terminale della sala,
verosimilmente, aveva il compito di creare una divisione tra la
zona " riservata ", quella del trono, dall'ambiente destinato alle
udienze, ai sudditi, come è dimostrato anche dalla presenza di
sedili in pietra presenti in quest'ultimo ambiente.
Originariamente aveva una copertura lignea a
capriate; a seguito del suo crollo, durante l'ultimo restauro il
tetto è stato sostituito da una struttura metallica e il
pavimento originario è stato ricoperto con elementi
lignei.
Nella sala è presente anche un camino e
un'apertura che conduce in cima alla torre De' Rossi.
SALA DEL CAMINETTO
Dalla sala del trono si accede alla sala del
caminetto, così chiamata per la presenza di un camino di
dimensioni più ridotte rispetto a quello della sala precedente
e di minor pregio dal punto di vista architettonico.
Questa sala è di dimensioni ridotte rispetto
alla precedente e presenta delle aperture anche sulla cortina
esterna, a differenza della sala del trono, che prende luce quasi
esclusivamente dalle bifore e trifore che si affacciano sul cortile
interno.
Era sicuramente utilizzata dalla regina e dalle
cortigiane, che trascorrevano in quell'ambiente gran parte della
giornata.
Da questa sala si accede, attraverso una scala
interna a quella che era utilizzata probabilmente come stanza da
letto dei sovrani.
Attraverso questa sala si accede all'altra torre
che è rimasta in piedi: quella detta dell'Imperatrice, meno
alta della precedente, che si trova sulla proiezione verticale
della prigione e del forno.
FONTI:
IMMAGINI
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