Pinacoteca De Napoli. Facciata.
Sito n.: 9 - PINACOTECA (C.SO DANTE)
IL PALAZZO
Il palazzo si innalza sul viale circolare realizzato
colmando l'antico fossato; dunque, come altri edifici di
proprietà nobiliare, era stato costruito in una zona in
progressiva espansione edilizia. Sicuramente almeno
nella parte retrostante doveva affacciarsi su giardini e
ampie macchie di verde, essendo in un certo senso extra
moenia. L'edificio, ritagliato nella limpidezza geometrica
di un semplice parallelepipedo, è scompartito in tre
ordini, con primo piano e piano nobile. Il prospetto,
scandito simmetricamente da nove aperture, privilegia
l'asse centrale su cui si aprono in successione il portale e
i due balconi, mentre lateralmente si dispongono ingressi
secondari e finestre. La facciata, sobria e linda nelle
modanature che inquadrano le ampie finestre, è animata
soltanto dal rustico bugnato dell'ordine inferiore, che
raccoglie e condensa le luci e le ombre, in una più
accentuata vibrazione chiaroscurale. Questa è
ulteriormente arricchita dal portale, la cui dinamica
plasticità è ottenuta semplicemente alternando la
grandezza dei conci, che, disposti egualmente su piedritti
ed arco, serrano l'ingresso come una sorta di cinghia
dentellata, concludendosi nel neoclassico ricciolo della
chiave al sommo della ghiera.

Pinacoteca De Napoli. Portone.
L'ombra, poi, si raddensa negli articolati mensoloni che
sorreggono la balconata centrale: si tratta di quattro
ampie spirali terminanti in protomi feline, quasi una
metamorfosi in atto, secondo il più tipico gusto pugliese,
recuperato poi dal barocco, per i mostri e i bestiari svolti
sulle architetture medievali.
Pinacoteca De Napoli. Mensole del balcone
centrale.
Pinacoteca De Napoli. Particolare della mensola
con mascherone.
Negli ordini superiori solo le sporgenze della cornice
d'imposta del terzo ordine e dell'aggetto del cornicione di
coronamento segnano e ritmano la scansione
ascensionale degli ordini.
Pinacoteca De Napoli. Particolare della facciata
piano superiore.
L'interno presenta un androne d'ingresso che mostra
lateralmente e in fondo dei vani, evidentemente un
tempo adibiti a locali di servizio (stalle per cavalli,
cantina, deposito per attrezzi), mentre sulla parete di
fronte a sinistra vi è l'ampio ingresso con scalone,
incorniciato da una semplice arcata piatta convergente
nella chiave a ricciolo al centro della modanatura. Quindi
una piccola campata voltata a vela introduce allo scalone
che immette ai piani superiori: non sappiamo se fosse
questa la situazione originaria, poiché il fornice
d'ingresso si mostra come compresso della parete
laterale a sinistra, che sembra essere stata modificata in
un secondo momento.
Probabilmente al primo piano era stato ricavato lo studio
che, disponendo di vasti spazi, doveva essere piuttosto
ampio: generalmente, infatti, la zona adibita ad
abitazione era quella situata ai piani superiori. Anche se,
va detto, non esisteva una consuetudine tipologica che
avesse col tempo fissato le destinazioni funzionali in un
modello specifico di abitazione, perché altre volte l'atelier
era contiguo ai salotti o alle stanze di rappresentanza, o
ancora, riposto nella zona più riservata
dell'appartamento, quasi a sottolinearne la “sacralità”.
La dimora doveva presentarsi arricchita di un tipico
arredo sette-ottocentesco, magari con i soffitti dipinti,
tappeti, tendaggi, come conveniva ad una famiglia
benestante. Di tutto l'arredo oggi non resta quasi nulla;
si conserva unicamente il manichino snodabile, a
grandezza naturale, di cui il pittore ci ha lasciato alcuni
studi.
Il palazzo fu donato per munifico lascito testamentario
alla comunità di Terlizzi dall'artista Michele de Napoli
affinché, contenitore di disegni, studi, cartoni, bozzetti e
di alcune sue opere, fosse d'uso agli studiosi. Il palazzo
assumerà così la denominazione di Pinacoteca de Napoli,
testimonianza non solo del suo genio artistico ma anche
del suo amore per la città.
Purtroppo il contesto entro cui avrebbero dovuto trovar
posto le opere del pittore è stato, nel tempo, smembrato
e snaturalizzato. La raccolta è rimasta quasi intatta, ma
si è rotta irreparabilmente quella che si potrebbe definire
l' “unità di contesto”. Infatti l'ambiente, ovvero il
contenitore, con le sue peculiarità d'arredo, che era
quello lasciato dall'artista e all'interno del quale le opere
si acclimatavano, si inserivano come i singolari
frammenti di un puzzle dello spirito, è stato saccheggiato
dall'incuria, manomesso e alterato a tal punto ormai da
richiedere un riadattamento strutturale e architettonico.
Tratto da: F. De Chirico, Michele de Napoli dalla
Quadreria del museo nazionale alla pinacoteca di
Terlizzi, Ed Insieme, Terlizzi,1997, pp. 64 - 70.
LA PINACOTECA
Il de Napoli nel 1981 affida alle cure del cugino Nicola De
Crescenzio, per la opportuna sistemazione, il suo
patrimonio artistico, consistente in tele, cartoni, spolveri,
oli, tempere, acquerelli, inchiostri, sanguigne (circa 800
pezzi). Purtroppo quattro anni più tardi il De Crescenzio
muore e l'ordinamento delle opere non viene portato a
termine. L'Amministrazione comunale, spinta dall'On.
Giuseppe Lioy, propone al Prof. Nicola Paloscia (1868-
1943), insegnante della Scuola di Disegno di Terlizzi,
l'ordinamento e questi accetta.
Nel 1898 l'ordinamento delle opere è terminato ed il
patrimonio artistico del de Napoli trova sistemazione in
ben nove sale del Palazzo di famiglia. Il Paloscia aveva
dovuto affrontare tutta una serie di problemi durante
l'allestimento: innanzitutto l'enorme quantità di
materiale, composto per lo più da schizzi, disegni e
bozzetti e da poche opere concluse, tanto che decise di
raccogliere molti di essi in sei album, divisi per generi
(che si aggiungono ai quattro piccoli raccoglitori lasciati
dall'artista). Sorsero inoltre difficoltà espositive, dovute
essenzialmente alla scarsa illuminazione naturale.
Suddivise le opere, dopo averle attentamente analizzate,
per tecnica di esecuzione e per genere tematico,
privilegiando dove possibile, l'accostamento tra studi
preparatori e risultato definitivo. Quest'ultimo criterio,
soprattutto, si pone come una corretta interpretazione
del modus operandi del de Napoli, che lavorava
incessantemente anche su di un solo piccolo dettaglio,
considerando l'esercizio grafico come propedeutico e
basilare per ogni tipo di realizzazione. Tuttavia,
l'esposizione diretta di molti disegni, affissi al muro
senza alcun tipo di protezione, insieme alla inadeguata
prevenzione rispetto ai problemi conservativi più globali
(umidità, muffa, microrganismi), non solo per quel che
riguarda le opere, ma anche nei confronti dell'intero
contesto (ivi compreso l'edificio), hanno creato seri danni
a molti lavori e una situazione di degrado generalizzato a
tutto il complesso. Il 20 settembre comunque viene
inaugurata la Pinacoteca de Napoli e presentato il
relativo catalogo predisposto dal Paloscia.
Tra il 1903 e il 1913 si susseguono le proteste della
stampa per le condizioni in cui versa l'Istituzione. Nel
1914 il Regio Commissario De Feo approva il
Regolamento della Pinacoteca.
Nel 1938, pur non affrontando ancora una volta il
problema della conservazione e della tutela, il potestà
Dr. Nicola Quercia decide di rimodernare la sede e
riordinare la raccolta affidando quest'ultimo incarico al
Dr. Mario D'Orsi, ispettore della Soprintendenza di Bari.
Un anno più tardi la sede e la raccolta ritornano agli
antichi splendori e viene presentato anche il nuovo
catalogo del D'Orsi, con una riduzione delle opere a soli
224 pezzi. Sulle pareti dell'androne e delle scale del
palazzo vengono sistemati frammenti scultorei e lapidei.
Come si può desumere siamo agli antipodi del modello
'casa d'artista', mentre prevale l'esaltazione dei lavori più
importanti in funzione di 'unità estetica', distribuita in
cinque sale.
Nel 1940 tre stanze della Pinacoteca vengono occupate
dalla Scuola serale di Disegno dell'Ente Pugliese di
Cultura. Nel 1960 la Pinacoteca viene classificata come
'museo minore'.
Nel giugno del 1973 le opere del de Napoli vengono
trasferite nei locali dell'ex monastero delle Clarisse e
cominciano nuovi lavori di ristrutturazione del Palazzo, in
base a un progetto dell'Ufficio tecnico comunale.
Nel 1978 una commissione di esperti e di politici è
incaricata di controllare lo stato di conservazione della
Collezione che risulta in buone condizioni. Si conferisce
all'architetto Pasquale Piacenza da Terlizzi l'incarico di
redigere un progetto di sistemazione del secondo e del
terzo piano e un anno dopo gli affida il progetto relativo
all'androne scala, alla scala e alla parte vecchia del
primo piano.
Nel 1983 l'Amministrazione Comunale affida
all'ingegnere Vito Tricarico la ristrutturazione totale
dell'edificio. La Soprintendenza di Bari blocca i lavori per
alcune irregolarità riscontrate in opere già realizzate
(scala elicoidale, parte dei solai). Nel 1994 i lavori
vengono sbloccati dalla Commissione Straordinaria che
affida agli ingegneri De Tommasi e Bindo l'incarico di
elaborare un nuovo progetto di ristrutturazione totale.
Nel 1995 l'Amministrazione Comunale incarica l'avvocato
Daniela Gesmundo di accertare l'eventuale diritto di
proprietà del Comune su alcuni locali a piano terra e
seminterrato del Palazzo; si instaura un contenzioso tra il
Comune e i possessori dei locali. Nel maggio del'96 la
collezione viene trasferita in via Velardi e nell'ottobre del
'97 nei locali comunali di Viale Italia.
Nel 1998 l'Amministrazione vince la causa relativa alla
proprietà dei locali retrostanti la Pinacoteca e viene
ribadita la proprietà del Comune su tutto il corpo di
fabbrica. I lavori possono finalmente riprendere e ancora
oggi non sono conclusi.
Tratto da L. Dello Russo, V. Bernardi, Michele De Napoli,
De Biase, Ruvo di Puglia 1998, pp. 99- 101 e da F. De
Chirico, Michele de Napoli dalla Quadreria del Museo
Nazionale alla Pinacoteca di Terlizzi, ed. Insieme, Terlizzi
1997, pp. 82-84.
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