PONTE LAMAJA
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Bitonto. Vista del Ponte Lamaja dalla lama Balice.

Sito n.: 58 - PONTE LAMAJA

Sulla riformulazione degli spazi perimetrali della città antica nell'Ottocento. Alcuni casi
Il perimetro di Bitonto antica. Trasformazioni. Restauri. Attrezzamento
Nel XVIII secolo Bitonto antica, in Terra di Bari, è ancora sostanzialmente arroccata all'interno della cinta muraria. Al di fuori di questa si dispongono edifici o piccoli complessi con dislocazione sparsa, pressoché episodica.
Si tratta di monasteri, frantoi, molini, antichissimi casali abbandonati da tempo. Tali manufatti si affacciano su tracciati viari che collegavano Bitonto alle altre località da tempo immemorabile. Alle soglie del XIX secolo sorgono, proprio lungo queste strade, anche alcune case gentilizie, prossime al centro antico.
In seguito al consistente incremento della popolazione urbana, nella prima metà dell'Ottocento si acuisce sensibilmente la richiesta di nuove residenze. La domanda abitativa conseguente all'incremento demografico è seguita da alcuni interventi di trasformazione, finalizzati alla conquista di nuovo spazio residenziale, interno o prossimo al centro antico.
In questa fase di trasformazione, si inseriscono operazioni che non erano state messe in conto dalle Autorità del tempo, ma che eventi straordinari resero indispensabili. L'acqua di Lama Tifre si manifesta per pochi giorni ad intervalli sovente decennali, talvolta generando un fenomeno alluvionale. In un segmento temporale di soli tredici anni, dal 1833 al 1846, Bitonto fu colpita da due disastrose piene che imposero l’urgenza di integrare il perimetro urbano con attrezzature calibrate rispetto alle caratteristiche delle acque. Si costruiscono e si restaurano condotti fognari, grosse cisterne, argini artificiali e, soprattutto, ponti. Agli inizi degli anni Trenta, le Vallate di Santa Teresa e del Carmine erano attraversate da ponti a campata unica, integrati in lunghi terrapieni, su cui correva la sovrastruttura stradale. Il manufatto presso il complesso conventuale di Santa Teresa era una sorta di viadotto, solcato da un condotto lungo e stretto, costruito nel 1530. L'antico Ponte del Carmine era collocato in prossimità del Convento dei Carmelitani (attuale Istituo Maria Cristina di Savoia), aveva forme medievali, muri a scarpa e selciato che partiva dallo spiazzo antistante Porta Maja. La ‘fiumara’ dell'agosto 1833 supera senza danno il ponte di San Marco e quello del Carmine. Il ponticello di Santa Teresa viene, invece, rovesciato. All'architetto Lerario viene dato il compito di progettare un nuovo ponte in luogo del danneggiato. Egli ridisegna il profilo del terrapieno, realizza nuovi piani di smaltimento verso una grande cisterna urbana e un canale sotterraneo, costruisce un nuovo argine lungo Via Solferino. Rimosso il manufatto precedente, realizza un nuovo ponte (1836-39), di massa e larghezza trasversale inferiore a quelle del precedente, e campata molto più ampia. Questa nuova struttura è a fornice unico, con profilo policentrico ed asse collineare al flusso delle acque.
Il primo ottobre 1846 una nuova, più potente alluvione, carica di fanghi, piante e detriti, danneggia irreparabilmente sia il nuovo ponte del Lerario che l’antico manufatto sulla Vallata del Carmine.
All'architetto Luigi Castellucci viene dato il compito di ricostruire entrambi i manufatti. Ai suoi sopralluoghi si presenta uno spettacolo do devastazione. Il ponte del Lerario è completamente rovesciato. Quello del Carmine presenta un largo squarcio sul terrapieno, con il fornice ancora in piedi ma pesantemente lesionato. Parte degli argini sono franati. L'alveo è invaso da una massa viscosa che ha mutato sensibilmente la configurazione topografica della Lama.
Questa situazione diventa il punto di partenza per la realizzazione di nuovi manufatti che debbano adeguatamente rappresentare la rinnovata cultura tecnica, estetica ed urbanistica del tempo. Prima di erigere i nuovi ponti, Castellucci compie un’analisi accurata dello stato dei luoghi. I profili della lama, i depositi accumulati dalla piena e i danni agli argini si rivelano indicatori delle caratteristiche del flusso acqueo. L’Architetto può attribuire la rovina dei ponti precedenti alla relativa inidoneità tecnica a sopportare Ia vorticosa massa fluida e alla eccezionalità della piena.
Dopo aver rimodellato il terreno in prossimità delle strutture a costruirsi, Castellucci fa abbattere quanto rimane dei ponti precedenti, rialza il piano stradale, realizza argini integrativi ed erige i nuovi manufatti su fondazioni collegate da una potente piattaforma basamentale.
Il risultato di questa duplice operazione è oggi osservabile nelle forme del Ponte del Carmine e del Ponte di Santa Teresa, costruiti in pietra calcarea su tre scattanti arcate semicircolari, poggianti su poderosi setti muniti di dispositivi frangiacque. Le reni degli archi sono disposti al di sopra dei livelli ordinari di piena e i piedritti sono orientati in modo collineare all'andamento delle acque. È evidente l'intenzione di Castellucci di aprire quanto più possibile gli spazi al passaggio delle acque, di ridurre al minimo le masse resistenti al flusso e di proteggere le fondazioni del ponte. La sovrastruttura stradale viene poi completata con selciato e balaustra metallica.
I margini della città antica vengono rapidamente ricollegati ad importanti eventi territoriali, quali la ‘Strada Provinciale Mediterranea’, il nuovissimo Reale Orfanotrofio Maria Cristina di Savoia, il grande Complesso ex-conventuale dei Teresiani. Le istanze che portavano ad una revisione degli spazi circostanti alla città antica si riflettono anche nella capacità dei nuovi ponti di rappresentare la cultura architettonica del tempo: il progetto di architettura idraulica si fonda sui principi della tecnica rinascimentale ed ottocentesca, mentre i canoni dell’estetica neoclassica vengono chiamati a dare forma ed espressione ad un testo infrastrutturale.
Cosicché Castellucci impressiona sui nuovi manufatti gli insegnamenti di Andrea Palladio, di Jean- Baptiste Rondelet, di Nicola Cavalieri di San Bertolo, e gli esempi fondamentali dei romani Ponti Cestio, Fabrizio ed Elio, del Ponte romano di Rimini e di Rialto a Venezia.

Estratto dell'articolo pubblicato sulla rivista semestrale “Studi Bitontini” 79, 2005, 69-95 di Francesco DICARLO, Vittorio FORAMITTI, Tommaso Maria MASSARELLI.