CIMITERO
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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Chiesa di S. Maria delle Grazie.
Eretto dopo l'editto murattiano a partire dal 1839 su progetto dell'architetto Giuseppe Favia. Incorpora la preesistente chiesetta di S. Maria delle Grazie, cui deve il nome, e conserva le spoglie del pittore Michele De Napoli

Sito n.: 1 - IL CIMITERO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

Il Cimitero di S. Maria delle Grazie sorse a seguito dell’editto di Saint-Cloud del 12 giugno 1804 (esteso all’Italia il 5 settembre 1806, introdotto nel Regno di Napoli da Murat il 19 febbraio 1813), col quale si abbandonò l'antico costume di seppellire i defunti nei conditori o sepolcreti sotterranei delle chiese1.
Il primo progetto, elaborato nel 1817 dall' ing. Nicola Suppa di Trani, dovette fermarsi all'esame decurionale poiché il luogo prescelto, un terreno olivetato di proprietà del Capitolo in località “Tre gigli”, sulla strada che da Terlizzi porta a Giovinazzo, era di quota altimetrica inferiore rispetto a quella dell'abitato.
Se ne tornò a discutere nel 1829 con la conseguenza di un nuovo decreto, di un diverso sito e di un secondo progetto, affidato all'architetto terlizzese Michele Ruta (1754-1834).
Ma soltanto nel 1833 si pervenne alla scelta della definitiva ubicazione, un terreno sulla strada di Piscina Nuova, alle spalle della Chiesetta capitolare di S. Maria delle Grazie, che dal 1647 era stata destinata dall'arciprete Primicerio a conditorio delle dignità e dei canonici del Capitolo della Cattedrale. La chiesetta fu così incorporata nel complesso cimiteriale, da cui il nome di Cimitero di S. Maria delle Grazie.
Il cui progetto venne affidato nel 1838 all'architetto comunale Giuseppe Favia. Nell'agosto del 1839 si diede inizio ai lavori. Nel 1840, completata la prima sezione, vi si recò in visita mons. Costantini che invitò il Capitolo a restaurare quanto prima l'altare maggiore della Chiesa. Il 1842, anche se i lavori non erano compiuti, il cimitero fu aperto all'uso.
La Chiesa, incorporata e ristrutturata nel nuovo complesso, fu riconsacrata nel 1845, mentre la benedizione del Cimitero fu rimandata a causa di un tragico evento che scosse l'intera cittadina. La mattina dell'11 maggio 1845 i due fratelli sacerdoti De Giacò furono lapidati sul sagrato di S. Maria La Nova, allora cattedrale interina, dalla folla sospinta da una diceria diffusa che i due intendessero far fondere il tesoro e l'edicola d'argento della Madonna per ricavare il denaro occorrente alla costruzione del Seminario2. La benedizione del Cimitero, pertanto, si tenne soltanto nel 1848, portando alla chiusura definitiva dei sepolcri di tutte le chiese, anche di quelle situate fuori dall'abitato.
Il complesso progettato dell'architetto Favia, nonostante fosse a quella data incompleto, presentava proprie peculiarità di ordine concettuale e formale, desumibili da quanto visibile ancora oggi. La pianta ripeteva lo schema della chiesa basilicale a tre navate, adottato a Roma, sotto il governo napoleonico, per configurare l'impianto dei nuovi cimiteri. La nave maggiore conteneva il conditorio comune con il campo di inumazione, mentre le navi minori, estese a portico lungo il rettangolo perimetrale, ad eccezione del tratto occupato da un tempietto di servizio e da quattro fornaci passanti, contenevano in ciascuna arcata i conditori familiari.
Il progetto originario prefigurava nel portico di arcate continue: sessantaquattro conditori familiari, dei quali sessanta con volta a vela e quattro angolari, con volta a cupola; quattro fornici passanti con volta a tutto sesto; la preesistente chiesetta oratorio extraurbana a pianta centrale e cupola, dal 1647 conditorio capitolare con il titolo di S. Maria delle Grazie. L'hortus conclusus, o area libera cinta dal portico, prevedeva due zone: una anteriore, con spiazzo antistante gli ingressi, occupata da un conditorio comune, composto da due corpi affiancati a copertura lapidea lievemente cuspidata, di poco superiore alla quota di spiccato, e contenenti, ciascuno, venticinque celle-cripta con bòtula e lastra sepolcrale di chiusura; l'altra, posteriore, a campo inumante arborato, lungo le percorrenze, da una croce di cipressi. L'area impegnata, un rettangolo di circa seimila metri quadrati, comportò un adattamento delle strade convergenti, la via di Cesano e quella della Creta. L'opera tuttavia rimase incompiuta perchè, prima ancora di esserlo, si permise la costruzione di cappelle a privati e confraternite che insediandosi proprio sull'area del portico non seguirono lo sviluppo delle arcate, già realizzate nella prima metà, in sintonia con il piano originale dell'opera neoclassica.
L'ordine architettonico adottato risulta il dorico di tipo tuscanino, il più semplice per partiture e modanature e il più idoneo a essere lavorato ed espresso nella materia adottata, la dura pietra calcarea.
La chiesa preesistente, a pianta centrale, ben inserita nel corpo del portico assume lo stesso apparato ordinale, salvo il portone seicentesco che porta scolpito sul fregio dell'architrave la seguente scritta: “Praesul Primicerius Regimê / ad Dignitates et Canonicus / spectare decrevit A. D. MDCIIIL3. Le fronti dei bracci esterni, con lesene angolari e capitello, zoccolo e trabeazione, sono tuttavia prive di cornice e di fastigi, i quali ultimi, se attuati, avrebbero nascosto la cupola. Dal braccio postico della chiesa, incrementato di quattro vani e di un andito di disimpegno, nascono e si sviluppano, simmetricamente rispetto all'asse longitudinale della chiesa stessa, nucleo generatore dell'intero complesso, le due ali del portico, che cinge e definisce, con le sue arcate, l'invaso spaziale a cielo aperto del cimitero.
I vani seriali del portico, anzi del quadriportico incompiuto, aperti all'interno, chiusi all'esterno, sono modulati dall'apparato ordinale tuscanino con sufficienti nessi grammaticali e sintattici. Delle dissonanze si notano tuttavia, pur nel contesto di uno stesso dettato, fra la chiesa ed il quadriportico, che però non inficiano la generale coerenza dell'opera.
Il complesso cimiteriale neoclassico subì già dopo la metà del XIX secolo le prime varianti. Nel 1865, durante una drammatica epidemia di colera, i morti, senza celebrazione del rito funebre nelle chiese urbane, furono portati direttamente al cimitero e sepolti in massa nel conditorio comune, che da allora si guadagnò l'appellativo di “carnaio”. Intanto sull'area non ancora occupata dal portico iniziarono a sorgere le cappelle gentilizie private, diverse di forma e di stile, a discapito dell'unità architettonica del complesso.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Cappella funeraria.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Cappella de Pau'.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Cappella Tesoro.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Cappella Cataldi.

Il 1882, quando gran parte dei margini del campo di inumazione si videro invasi da ulteriori cappelle, l'amministrazione comunale cominciò a prospettare la necessità di ampliare il cimitero4. Rispetto alla contemplata possibilità di impiantare un nuovo cimitero a nord della città, nella zona di Ciurcitano, che riscosse discordi pareri in seno al consiglio comunale e proteste di confraternite e popolazione, finalmente, dal 1922 al 1924, il tanto discusso ampliamento ebbe pratica attuazione: alle spalle del cimitero venne acquisita un' area agricola, di proprietà dei Marinelli, di forma trapezia, dell'estensione di ventimila metri quadrati, che, recintata, dissodata, allestita e adornata di nuovi cipressi, dette al cimitero funzionalità e respiro, che mantenne fino al 1940.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Le fasi cronologiche dello sviluppo del plesso (di Michele Gargano).

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Planimetria generale (di Michele Gargano)

Durante la seconda guerra mondiale e fino al 1955, il complesso visse una rilevante trascuratezza manutentiva, nonostante l'erezione a partire dal 1948, nel centro dei campi di inumazione, del monumento “Ai caduti di tutte le guerre”, consistente in una cripta con altare sovrapposto, sormontato da un'alta croce.
A partire dal 1958 fu attuato un piano di ristrutturazione generale del complesso cimiteriale che, al posto del “carnaio”, il conditorio comune ottocentesco, vide la costruzione di un primo colombario monumentale (1958 – 1960), cui ne seguirono altri due (1970 – 1971, dedicato a Michele De Napoli, e 1981, dedicato a Don Pietro Pappagallo, martire delle Ardeatine), oltre la dotazione di servizi e il restauro della chiesa (1962 – 1965).
La zona monumentale del Cimitero accoglie al centro, ben isolati, i sepolcri e il monumento funebre di Michele De Napoli e di sua moglie Luisa Patella, progettato dallo stesso artista. Presenta su alto piedistallo il mozzicone di una colonna scanalata, metafora della vita che si spegne bruscamente.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Monumento sepolcrale di Michele De Napoli e Luisa Patella.

Tratto da: M. Gargano, Terlizzi. Le chiese, i conditori e il cimitero di Santa Maria delle Grazie, Mezzina, Molfetta, 1981, pp. 67 – 89.
1 G. Gustamacchia, Spigolature di cronaca terlizzese, Molfetta, Mezzina, 1972, pp. 85 – 89.
2 R. Marzolla, Un quinquennio a Terlizzi sui fatti dell'11 maggio 1845, inedito non fatto stampare, esistente presso l'Archivio De Gemmis di Bari.
3 Cfr. Acta Visit. Apost. 1725, di Mons. A. Pacecco, vescovo di Bisceglie, in Arch. Capit. Di Terlizzi.
4 Per la storia del cimitero dal 1817 al 1958, cfr. A. Pappagallo, Terlizzi in miniatura, Bitonto, Amendolagine, 1964, pp. 12-13; dall'inizio al 1922, cfr. G. Valente, Pagine di storia terlizzese, Mezzina, 1973, pp. 355-360.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Cappella Bonaduce, interno.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Interno della cappella Bonaduce, particolare della cupola con affreschi e stucchi.

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Cimitero di S. Maria delle Grazie. Interno della cappella Bonaduce, particolare.