Chiesa e Convento
di San Francesco
L’arco temporale in cui gli storici
inseriscono la costruzione della chiesa e del convento di San
Francesco è compreso tra il 1222 e il 1292. La leggenda narra
che nel viaggio di ritorno dalla Terra Santa (1221- 1222) san
Francesco si fermò in Puglia dove favorì la formazione di
numerose comunità monastiche tra cui San Francesco della
Scarpa in Bari e San Francesco in Gioia del Colle.
La fondazione del convento di quest’ultima
è legata alla leggenda del dito infranto, evento che avvenne
quando il santo lavorava, trasportando sassi, per la costruzione
del pozzo. Secondo la tradizione, il luogo fu scelto dal santo
durante la sua sosta nel 1222 e in questa occasione il santo
avrebbe fatto scavare un pozzo “dell’acqua
dolce”, sito nell’angolo del futuro giardino del
monastero e, nello stesso, avrebbe piantato un albero di fico
miracolosamente superstite e portatore di frutti fino al tardo
Seicento, le cui fronde portavano il “tau”, che
applicato agli infermi ne determinava la guarigione.
I primi conventi francescani, evoluzione delle
comunità sorte in quel periodo, furono costruiti solo dopo
l’autorizzazione concessa da Gregorio IX, nel 1230, in deroga
alla regola dell’Ordine che imponeva il voto di
povertà.
Le fonti storiche confermano che il monastero fu
eretto proprio nel XIII secolo nel sito prescelto da san
Francesco.
La prima testimonianza, relativa al convento di
Gioia del Colle, si trova in un lascito testamentario del 1292,
dove si cita la chiesa di S. Francesco dei Frati Minori di Gioia
del Colle. Gli storici locali, concordemente, attribuiscono la
fondazione della chiesa e del convento a Nicolò
D’Andrano, con il beneplacito di Filippo D’Angiò,
nei primi anni del XIV secolo e poi abbellito dal figlio Luca
D’Andrano. A testimonianza della donazione effettuata dalla
famiglia D’Andrano in favore della comunità francescana
vi è ancora sotto la torre dell’orologio
un’epigrafe datata 1739. Probabilmente, tale epigrafe è
stata incisa durante i lavori di ampliamento e restauro della
chiesa e del convento affinché non si perdesse la memoria del
fondatore. Gli storici inoltre affermano che nella chiesa vi era
una cappella dei D’Andrano, con lo stemma della famiglia e un
sepolcro riservato ai familiari. Del sarcofago è a noi
pervenuta una lastra laterale in cui è rappresentata al centro
la porta socchiusa del Paradiso, sormontata da una stella a cinque
punte, a simboleggiare il Cielo. Alla destra della porta è
raffigurato l’Arcangelo Michele; a sinistra è
raffigurato san Pietro, riconoscibile dalle chiavi che sostiene con
la mano destra. A lati della lastra è raffigurato lo stemma
della casata D’Andrano a forma di scudo cuneiforme, suddiviso
in quattro campi, alternativamente lisci e rigati. La lastra è
completata da decorazioni floreali costituite da rami e foglie
d’acanto. Tra le decorazioni floreali si distinguono due
uccelli, una civetta (la disgrazia) a sinistra, e, probabilmente,
un corvo (il peccato) a destra.
Il sepolcro fu smontato, probabilmente a seguito
dei lavori di ampliamento della chiesa la lastra fu utilizzata come
base di un altare. Durante successivi lavori a fu asportata e
andò dispersa, finché fu ritrovata casualmente da alcuni
studiosi che la riconobbero murata nel palazzo della famiglia
Magnini, a Taranto, in Via Virgilio, n. 1. L’arca di
Messer Luca D’Andrano de Joya fu così riportata
nella Chiesa il 2002, grazie al restauro voluto dal Rotarì
Club Acquaviva-Gioia, dopo il recupero effettuato dalla speciale
sezione dei Carabinieri. La lastra è stata collocata sulla
parete sinistra della chiesa S. Francesco dove può essere
ammirata nel suo splendore.
"L'arca di Messer
Luca D'Andrano de Joya", lastra in marmo, 150 cm x 50
cm
Il convento
Il complesso conventuale, dalle forme sobrie, si
eleva su due piani al quale se ne è aggiunto, negli ultimi
decenni, un terzo a seguito della trasformazione delle coperture,
prima realizzate a tetto ed ora terrazzate per utilizzare le
soffitte. Il notevole disordine nella successione e nella posizione
dei marcapiani è l’evidente dimostrazione dei continui
rimaneggiamenti subiti dal convento dalle origini fino al XVIII
secolo. Sul prospetto principale si aprono due ingressi; quello che
conserva lo stemma è sicuramente l’ingresso originario,
in stretto collegamento con il sagrato della chiesa.
Sotto il profilo architettonico, il prospetto
principale che si affaccia sulla piazza Plebiscito, presenta un
disegno rigoroso e ben strutturato, non di notevole pregio ma
gradevole, con qualche riferimento barocco, sicuramente disegnato e
realizzato in loco da capimastri e manovalanze durante il
Settecento. La Torre dell’Orologio progettata
dall’architetto Pinto, e realizzata nel 1884, si inserisce in
modo armonico nel quadro d’insieme; durante la seconda guerra
mondiale alla sommità della torre è stata montata la
sirena di allarme antiaereo, ancora oggi esistente.
Vi sono, anche, dei motivi decorativi degni di
rilievo quali il loggiato, le finestre, ora murate, del livello
superiore e lo stemma con l’indicazione della
fondazione.
Il prospetto su piazza Umberto I e l’altro
su piazza D’Andrano, invece, non presentano elementi di
notevole pregio, ad eccezione di alcune logge che, in passato si
affacciavano direttamente sul giardino del complesso
conventuale.
All’interno, l’edificio conserva la
tipologia propria dei conventi e dei monasteri dei Frati Minori
Conventuali sorti in posizione periferica e caratterizzati da forme
edilizie legate all’adattamento agli spazi concessi e,
sovente, anche condizionate dal riutilizzo di strutture
preesistenti. I criteri principali che regolavano sotto il profilo
architettonico e funzionale la maggior parte di tali costruzioni
erano: la corte esterna (giardino con muro perimetrale); la zona
destinata agli ambienti di rappresentanza (appartamento del priore,
biblioteca, foresteria nobile); la zona per gli usi della
comunità (cucine,refettorio, chiesa, capitolo, appartamenti
dei procuratori); le celle dei monaci che si sviluppano attorno al
chiostro.
La vita giornaliera del convento si svolgeva,
quindi, al piano terra. Vi si trovavano sia gli ambienti di lavoro,
sia quelli comuni: granaio, refettorio,cucina, stalla, cantina,
ecc. tutti gli ambienti erano disposti in stretta successione,
molti con accessi diretti dal porticato del chiostro. Tale
porticato limitrofo alla chiesa, ancora oggi esistente, inizia
dall’ingresso del convento e termina sul fondo con lo scalone
a volta a botte lunettata che conduce al piano primo.
Il complesso monastico di S. Francesco si
contraddistingue da altri conventi coevi, appartenenti allo stesso
ordine, per lo sviluppo planimetrico fortemente irregolare.
L’attuale complesso sei-settecentesco
presenta linee barocche di maniera e ha conservato pochi tratti del
suo primitivo aspetto trecentesco. Tracce dell’antica
costruzione sono tuttavia ancora oggi rilevabili. All’esterno
della chiesa, sull’attuale via Flora, ad esempio, vi è
una porta murata a sesto rialzato, con decorazione scultorea sulla
chiave dell’arco, che ci riporta all’età gotica;
sul lato sud si trova un finestrino con cornice esterna scolpita ad
elementi vegetali. All’interno la lastra tombale dei
D’Andrano, collocata nel secondo altare sinistro, e due
colonnine in sagrestia. All’ingresso del convento, lungo il
muro limitrofo alla chiesa, si trovano alcune iscrizioni tombali
graffiti medioevali. Non è improbabile che tali cornici
provengano dalle murature originali della chiesa per il principio
di riciclo che vigeva nel Settecento.
La chiesa
La chiesa presenta uno sviluppo planimetrico
tipico settecentesco: navata unica ripartita in tre zone da quattro
archi divisori trasversali di irrigidimento. La volta a botte
lunettata della navata poggia sulle murature perimetrali
caratterizzate da nicchie ad arco dove si trovano piccoli altari,
tele, statue. Il transetto ha la volta a cupola. Tra la cupola e il
presbiterio si trova l’”arco trionfale”
dell’altare che poggia su semicolonne adornate con capitelli
ad aquile. Dietro l’altare vi è il presbiterio, con il
coro ligneo composto da ventisei stalli in abete intagliato, di
probabile fattura di artigiano locali, risalente al XVIII secolo.
Sulla parete di fondo del presbiterio si apre la porta di accesso
alla sagrestia, di notevole ampiezza, arredata con un armadio in
abete intarsiato anch’esso risalente al XVIII secolo.
La chiesa, contrariamente al convento, non fu
depauperata degli arredi e delle decorazioni. Infatti al suo
interno si custodiscono, ancora, con cura, tele ad olio che
adornano gli altari laterali e la sagrestia. Di pregio sono la tela
di san Giuseppe da Copertino (XVII sec.), e tante altre risalenti
al XVIII secolo, di probabile scuola napoletana.
Nel presbiterio, a pavimento, una botola indica
la presenza di locali ipogei posti al di sotto dell’altare
maggiore. Essi costituiscono la cripta, scoperta dopo il terremoto
del 1980. L'esplorazione ha evidenziato la presenza di una ambiente
rettangolare con volte a botte, dal quale si diparte un corridoio
che porta ad altri tre piccoli vani, tutti in asse con la zona
superiore del coro e dell'altare maggiore. Nel primo ambiente
esplorato sono state costruite, in materiale tufaceo, sette tombe
del tipo "a sedile", che servivano per la sepoltura di altrettanti
frati conventuali. L'esplorazione, infatti, ha evidenziato la
presenza di resti ossei, oltre al fatto che gli ambienti, se non
devastati, erano stati profanati da ignoti visitatori.
FONTI:
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