CHIESA DI SANT'ANGELO
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Non si hanno notizie certe né sull'origine né sull'epoca in cui questa Chiesa è stata fondata.
L'esistenza di una Chiesa di Sant'Angelo è attestata per la prima volta in un documento del 1087, in cui si dice che in quell'anno il duca normanno Ruggero d'Altavilla concede all'Arcivescovo di Bari, Ursone, delle proprietà a Monte Sannace, comprendenti terre ed orticelli che sono presso la Chiesa di Sant'Angelo (concedimus ecclesiam Sancti Angeli que sita est in monte Ioannacii cum omnibus orti set orticellis suis qui sunt iuxta ipsam ecclesiam et vadit per viam qua itur Ioam). Si tratta di una chiesa che testimonia la venerazione per questo Santo, ma che non nulla a che vedere con l'attuale chiesa di Sant'Angelo.
Da alcuni documenti normanni del XII secolo apprendiamo che intorno al 1170 l'abate Arivie avrebbe fatto costruire a sue spese, nei pressi del castello, una Chiesa dedicata a Santo Stefano. In un successivo periodo questa veniva chiamata Chiesa "di San Giovanni".
Carano Donvito sostiene che la Chiesa di Sant'Angelo era nota come Santa Maria di Costantinopoli. Essa, a detta di Padre Bonaventura da Lama, fu inizialmente dedicata a San Giovanni e, più tardi, dal nome di Santa Maria di Costantinopoli passò al nome attuale di Sant'Angelo, forse per non confonderla con l'altra Chiesa di S Maria di Costantinopoli (oggi S. Andrea). Con l'abolizione definitiva del rito greco la chiesa viene solennemente riconsacrata e dedicata a S. Maria di Costantinopoli.
E' ancora Padre Bonaventura da Lama che ci informa: Un altro vi fu che dette splendore a questa Terra di Gioia, benché estero, e fu Bartolomeo Paoli, Schiavone, essendovi ancora la Chiesa detta di Costantinopoli, anticamente di S. Giovanni, ove un tempo abitarono Albanesi e Schiavoni, correndo fino ad oggi la tradizione averci soggiornato qualche tempo il Beato Giacomo da Bitetto, come paesano di quelli. In questa chiesa vi è quella insigne Cappella di S. Michele, dove l'Arcivescovo di Bari Landolfo, con 12 Vescovi della Diocesi l'anno 1500 la consagrò, assegnando ognun di loro quaranta giorni di Indulgenza ogni giorno di lunedì, e nelle festività dei SS. Angeli, come Michele, Gabriele, Raffaele e Custodi, fabbricatovi appresso un grande Ospedale, oltre quello fondato dai nobilissimi Andrani; conseguenza forzosa essere stata questa Terra assai grande, mentre oggi pure ascende al numero di quattro mila e più centinaia d'Anime.
L'abate F. P. Losapio (sacerdote gioiese) e Michele Garruba (arcidiacono della Chiesa di Bari) non ritengono attendibile quanto riporta Padre B. da Lama, in quanto nel 1500 nella sede di Bari non risulta la presenza di un Arcivescovo di nome Landolfo.
Tra la fine del secolo XV ed il principio del successivo giunge a Gioia un contingente di soldati Albanesi, detti anche Schiavoni (perché originari della Sclavonia ), al seguito di Bartolomeo Paoli, per offrire il proprio aiuto agli Aragonesi. Molti di quei soldati al termine delle operazioni militari non rientrano nella loro terra, ma rimangono a Gioia e fissano la propria dimora nella zona che va dalla parte est del castello a quella nord della Chiesa Matrice, rione che da loro prende il nome di Borgo degli Albanesi o degli Schiavoni.
Poiché gli Albanesi professavano la religione greco- ortodossa, tra il 1500 e il 1506, per praticare il loro culto, "pensano di ampliare, restaurare ed abbellire l'antica Chiesa di S. Giovanni" o S. Maria di Costantinopoli, in cui si officiava secondo il rito greco, il loro rito, come si legge in due epigrafi poste sulla facciata ovest della Chiesa, in via Arciprete Gatta, e che si riferiscono, la prima alla Cappella di San Michele Arcangelo, e la seconda alla Cappella di san Giovanni Battista e all'Ospedale adiacente.
Tali epigrafi, però, scritte in latino e non in greco farebbero pensare alla fine del culto officiato secondo il rito greco e il passaggio al rito latino.
Di tale parere è Losapio, che è convinto che dal sec. XV venne sempre più acquistando importanza in Gioia la Chiesa latina e ritiene che la celebrazione del ‘500 si svolse con grande solennità, appunto per l'abolizione definitiva del rito greco.
Si riportano le due epigrafi:
A.D. MCCCCC REGNANTE REGE FEDERICO
ET ILL. D. NOSTRO ANDREA MATHEO ACQUAVIVO BRAVA
MASTES BIELOPAULIC, SCAVONUS CUM UXORE LIUBA
FECERUNT HANC BASILICAM AD HONOREM DEI ET
SC MIHAELIS IN QUA EGO PR IOANES ROCHA APO
STOLICUS TABELIO REPERI INDULGENCIAS ANNORUM
QUINGENTORUM VICESIMORUM OMNI DIE LUNAE ET
FESTORUM ANGELORUM CONCESSAS PER EPOS DIOCES.
L'anno 1500, sotto il regno di Federico, / e l'illustrissimo nostro signore Andrea Matteo Acquaviva , Brava / Maste Bielopaulic, Schiavone, con la moglie Livia, / questa basilica costruirono in onore del Signore e / di San Michele, nelle quale io, primicerio Giovanni Rocca, apo- / stolico notaio indulgenze di anni / 520 in ogni giorno di lunedì e / nelle feste degli Angeli, concesse dal Vescovo diocesano.
IN HONOREM BTI
IHES BB IO BRAIA BIELOPAULIC DE
CASA MAXLESA DE PAISO DE SETA
SCAVONUS FIERI FECIT ISTAM
CAPELAM CUM ASPEDALEM
IUSTAM DITAM CAPELAM
ANO D. MCCCCCVI-IOHIE.
In onore del Beato
Giovanni Battista, Giovanni Braia Bielopaulic del / Casato Maklesa della Terra della Zeta, /
Schiavone, fece costruire questa / Chiesa con l'ospedale / annesso alla stessa Chiesa, /
l'anno 1506, in Gioia.
A Paoli è intitolata una strada di Gioia, quella che da Corso Garibaldi porta alla Chiesa di Sant'Angelo, mentre alla moglie Livia è intitolata la Piazza adiacente la stessa Chiesa.
Nel 1854 un terribile terremoto provoca gravi danni alla Chiesa e in seguito essa viene completamente rifatta.
Il 9 aprile 1855 il Canonico don Luigi Eramo, Direttore Spirituale della Congrega di S. Filippo, che aveva sede nella Chiesa di Sant'Angelo, dopo aver fatto eseguire il progetto e i disegni all'Architetto Micucci di Casamassima, stipula con i maestri muratori fratelli Nicola, Giovanni, Gaetano Donatone e con Vito Nicola Donatone e Michele Mola, un pubblico contratto di appalto, per la riedificazione, a cottimo, della chiesa di S. Michele Arcangelo, detta di Sant'Angelo, sita nell'abitato di Gioia alla Strada Maggiore degli Albanesi.
Dopo aver acquistato da Don Giuseppe Pavone una casa posta a ridosso della Chiesa, don Luigi Eramo affida agli stessi maestri muratori l'incarico di costruire la sagrestia e il campanile.
Nella Chiesa di Sant'Angelo officiava la Confraternita di San Filippo Neri, la quale venne fondata il 29 giugno 1776, e riconosciuta, con Regio Assenso di Ferdinando IV, l'1 marzo 1779, come si può evincere dalla scritta presente sul catino absidale e da una pergamena che si può ammirare nella sagrestia.
La Soprintendenza alle Belle Arti di Bari, con decreto n. 1769 dell'8 marzo 1969, riconosce la Chiesa di S. Angelo Monumento Nazionale, in quanto opera di rilevante valore storico e architettonico, sottoponendola ai vincoli della legge del 1939.
Il prospetto della Chiesa è diviso in tre parti in senso verticale, divise da lesene ornate di capitelli ionici schiacciati; la parte destra costituisce la base su cui si sviluppa la torre campanaria.
Nel senso orizzontale la facciata è divisa in due parti; quella sottostante, in pietra, caratterizzata da un ampio portale sormontato da un'iscrizione; quella superiore, in tufo, presenta una grossa apertura e termina a forma di settore circolare. L'interno della Chiesa, che presenta una navata con volte a botte, decorata con stucchi, è scandito nella sua lunghezza da due grandi archi a sesto ribassato seguiti da un arco più piccolo. Si passa poi alla zona presbiterale e all'abside, che termina con una semicupola.
Varcato l'ingresso della Chiesa, sui due lati si nota un'acquasantiera di marmo, a forma di conchiglia, opere eseguite nel 1861, a devozione di Francesco D'Aprile. Nel primo arco di destra è situato un altare in marmo policromo, che presenta la seguente iscrizione: A Gesù vera vittima d'amore i fedeli nel 1906. Sull'altare vi è una teca in cui è presente una statua di Gesù riposto nel sepolcro. Al di sopra di questa teca ve n'è un'altra che contiene la statua della Madonna Addolorata.
Nel secondo arco è inserito un altro altare in marmo policromo con l'iscrizione: Hanc aram erexit Can.cus Michael Cassano A.D. 1861. L'altare è sovrastato da una tela raffigurante l'Arcangelo Gabriele che schiaccia la testa al diavolo. Il terzo arco racchiude una tela raffigurante la Madonna, che regge fra le braccia il Figlio Gesù, circondata da alcuni santi.
Il presbiterio è occupato da un altare in marmo policromo e da un grande quadro che raffigura la Madonna di Costantinopoli, opera del XVIII secolo. Al centro del dipinto vi è la Madonna che reca in braccio il Bambino Gesù, mentre sul lato sinistro è raffigurato San Giovanni Battista insieme a San Luigi e sul lato destro San Filippo Neri. Al lato destro una nicchia racchiude una statua che rappresenta Gesù risorto, mentre al lato sinistro la nicchia racchiude una statua di San Michele Arcangelo con una spada.
Il primo altare che si trova sul lato sinistro è come gli altri in marmo policromo e presenta la scritta: Il Rettore spirituale sacerdote Donato Pugliese A.D. 1906. Una teca che sovrasta l'altare contiene le statue dei Santi Medici. Una lapide in marmo onora, poi, la memoria di Donato Pugliese, che istituì in questa chiesa il culto dei SS. Medici, di Santa Rita da Cascia e della Madonna del Pozzo.
Il secondo altare a sinistra, in marmo policromo, presenta l'iscrizione: Hanc aram erexit magnificus Michael Indelicati A.D. 1861 ed è sormontato da una nicchia che contiene un Crocifisso, Santa Rita da Cascia ( che si festeggia solennemente il 22 maggio) e un Angelo. Segue nell'arco piccolo di sinistra un quadro che raffigura il Cristo dopo la deposizione dalla Croce. Ai lati di tutti gli altari vi sono due angeli che sorreggono un candeliere a 5 bracci. Sul punto più alto delle arcate si possono notare tre teste di angioletti. Nel catino absidale vi è la scritta: Confraternita di San Filippo Neri A.D. 1776. L'altare centrale è circondato da un coro ligneo con numerosi stalli.
L'altare maggiore è in pregevole marmo policromo; alle sue spalle vi è un coro in legno; pregevoli sono anche la balaustra in marmo bianco e un dipinto raffigurante S. Michele, con la spada sguainata, che tiene sotto i suoi piedi il diavolo, opera del XVII secolo, restaurata dal pittore Nicola Zito, nel 1860.
Il primitivo nome di S. Maria di Costantinopoli e quello di Sant'Angelo, come si può notare, sono sottolineati dalla presenza di numerosi quadri che li raffigurano. Sugli altari laterali vi sono lavori d'intaglio in legno dell'artista gioiese Carlo Curione.
La chiesa prende luce da otto finestre laterali e da un'apertura frontale. L'organo, il più antico tra quelli presenti nelle chiese di Gioia, è situato sulla zona dell'ingresso e presenta spazio sufficiente per un buon gruppo di cantori.
Accostata al prospetto della Chiesa vi è un campanile non molto più alto dell'edificio sacro, suddiviso in tre parti: la prima, in pietra, è in linea con la parte inferiore della facciata, mentre la seconda e la terza zona presentano una monofora per ogni lato. La parte finale termina con una modesta cupola cuspidale sormontata da una croce in ferro.
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